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PorscheMania Forum * Codice della strada e .... autovelox * Parere della corte costituzionale sui punti < Precedente Seguente >

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Simone D B (simonone_sc)
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Username: simonone_sc

Messaggio numero: 1344
Registrato: 06-2002


Inviato il lunedì 24 gennaio 2005 - 12:01:   Modifica MessaggioCancella MessaggioStampa Messaggio   Sposta Messaggio (Moderatore/Amministratore soltanto)

Copio e incollo l'articolo apparso all'indirizzo

http://www.repubblica.it/2005/a/sezioni/cronaca/cortepatente/cortepatente/cortep atente.html

Consulta, salvi i punti della patente
Solo multa se non si viene fermati

ROMA - I punti della patente possono essere tolti solo a chi è stato identificato nel commettere l'infrazione. La Corte costituzionale ha infatti dichiarato in parte illegittime le nuove norme del codice della strada che hanno introdotto la patente a punti.

Bersaglio della Consulta è l'articolo 126 bis comma 2, nella parte in cui prevede che, in caso di mancata identificazione del trasgressore, i punti devono esser tolti al proprietario del veicolo, salvo che questi non comunichi, entro 30 giorni, il nome e la patente di chi guidava in quel momento l'auto.

L'alta Corte ha stabilito, infatti, che se il guidatore non viene identificato, resta l' obbligo per il proprietario di fornire, entro 30 giorni, il nome e il numero della patente di chi ha commesso la violazione. Ma se ciò non avviene, a carico del proprietario dell'auto scatta solo la multa. Insomma se non si viene fermati i punti della patente sono salvi.

Insorge il governo. ''Rispetto la sentenza della Corte costituzionale ma non la condivido - dice il vice ministro delle Infrastrutture Mario Tassone - Per garantire diritti generali e formali, si inficia il diritto alla sicurezza e conseguentemente alla vita".

"Il ragionamento che si era fatto anche nelle aule parlamentari - ha aggiunto Tassone - è che il proprietario dell' automobile deve essere consapevole della persona alla quale affida il suo veicolo. La filosofia del governo e del Parlamento era quella di una sicurezza stringente, nella valutazione che l'automobile può, per certi versi, essere assimilata a un' arma e, come tale, non può essere lasciata incustodita".


A quanto ho capito questa sentenza rappresenta un precedente e un riferimento cui appigliarsi per fare ricorso.
qualcuno sa come funziona la cosa e sa dove trovare il testo completo?
...se non ha le ruote, non ne vale la pena...
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Umberto (elfer)
Ciucciami gli scarichi !
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Messaggio numero: 1720
Registrato: 09-2002


Inviato il lunedì 24 gennaio 2005 - 13:54:   Modifica MessaggioCancella MessaggioStampa Messaggio   Sposta Messaggio (Moderatore/Amministratore soltanto)

Val la pena di sottolineare che questa giusta sentenza costerà ai contribuenti una valanga di milioni perchè le migliaia di ricorsi pendenti vedranno vincenti le parti attrici, con oneri legali a carico della parte soccombente (Stato).
Ma è offensivo sapere che qualche personalità politica (non certo Lunardi, che ha dichiarato totale rispetto della sentenza) si ostini a considerare ingiusta la sentenza e quindi a difendere un principio sancito da un codice della strada palesemente incostituzionale (questa è la seconda sentenza che lo modifica).

Pensare a tutti coloro che hanno subito riduzioni di punti ma soprattutto a quelli che hanno subito la sospensione per effetto dell'articolo 126 bis Comma 2(anche per somma di punti detratti), mi lascia immaginare ulteriori esborsi per risarcimento danni che lo Stato dovrà effettuare (sempre a carico degli incolpevoli contribuenti).

Insomma, ma se anche un bambino si accorgeva di questa grave violazione di diritto, perchè 630 deputati e 315 senatori non se ne sono accorti??? e perchà devono passarsela liscia???

Mi piacerebbe tanto farmi promotore di una petizione perchè siano le loro tasche a coprire gli esborsi conseguenti ad una simile corbelleria.

Saluti sdegnati

Ub
"TARGA FLORIO ENTHUSIAST"
Visita il mio sito web !
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Giuliano T. (giuliano)
Moderatore (GURU)
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Messaggio numero: 3439
Registrato: 04-2002


Inviato il lunedì 24 gennaio 2005 - 14:35:   Modifica MessaggioCancella MessaggioStampa Messaggio   Sposta Messaggio (Moderatore/Amministratore soltanto)

Non è invece che ci troviamo di fronte ad un eccesso di garantismo che, per salvaguardare un principio giuridico generale, va contro al senso comune ?

E' tanto incredibile che il proprietario sia al corrente di chi sia la persona a cui affida il propio mezzo ?

E comunque, se il principio giuridico, sacrosanto, va salvaguardato, io se fossi nelle braghe del legislatore direi:

Non posso togliere i punti al proprietario perchè non è certo che sia lui ad aver commesso l'infrazione... ? Bene ! Ma posso allora multarlo per non essere in grado di determinare a chi ha affidato il suo mezzo.

E questa multa dovrebbe essere tanto elevata da scoraggiare le furbate...

IMHO naturalmente ...
BUONA PORSCHE DA GIULIANO !
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Umberto (elfer)
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Messaggio numero: 1723
Registrato: 09-2002


Inviato il lunedì 24 gennaio 2005 - 14:44:   Modifica MessaggioCancella MessaggioStampa Messaggio   Sposta Messaggio (Moderatore/Amministratore soltanto)

E' mica un principio da poco, Giuliano...
Faccio un esempio concreto per meglio intenderci.
Supponiamo che io ti presti una vettura e che succeda il fattaccio.
Mi contestano la sanzione senza accertare il conducente.
Dichiaro all'autorità che alla guida non ero io ma tu.
Tu invece neghi.
Ed io mi becco la sospensione...

Nei fatti: non si può applicare un principio riduttivo della libertà personale senza avere assoluta certezza di chi ha violato la disposizione di legge.

Non si tratta di "furbata". Anzi, credo che fino ad oggi la furbata l'ha fatto chi è stato "cuccato" dando gli estremi della patente della pro-zia, dell'extracomunitario di turno o di persona compiacente, innescando fenomeni di piccola corruzione...

Ciao

Ub
"TARGA FLORIO ENTHUSIAST"
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Simone D B (simonone_sc)
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Messaggio numero: 1346
Registrato: 06-2002


Inviato il lunedì 24 gennaio 2005 - 14:56:   Modifica MessaggioCancella MessaggioStampa Messaggio   Sposta Messaggio (Moderatore/Amministratore soltanto)

Pare che per il futuro verrà applicata la multa aggiuntiva, come succede per le auto intestate alle società.
Aggiungo che ci sono mille esempi di casi nei quali l'identià del guidatore è incerta (tanto più che la notifica avviene dopo 5 mesi dall'infrazione)
facciamo l'esempio delle famiglie con più auto e più patentati: l'intestatario dell'auto dovrebbe gestire le prime e seconde chiavi di ogni auto, tenendo registro di chi prende l'auto e dell'ora di rientro o uscita? e dovrebbe tenere tutto in cassaforte, per evitare sottrazioni di chiavi e/o del registro.
ma poi la chiave della cassaforte dove dovrebbe tenerla, per evitare accessi non autorizzati?
altri esempi, magari chi affida l'auto al meccanico: spesso il meccanico esce cno l'auto per provarla su strada, come fa il proprietario a essere responsabile anche per lui?
oppure se si viaggia in due o tre e ci si alterna alla guida: bisogna registrare ogni cambio di guidatore, stile lemans?
e ce ne sono altre...
...se non ha le ruote, non ne vale la pena...
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Umberto (elfer)
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Messaggio numero: 1725
Registrato: 09-2002


Inviato il lunedì 24 gennaio 2005 - 15:00:   Modifica MessaggioCancella MessaggioStampa Messaggio   Sposta Messaggio (Moderatore/Amministratore soltanto)

Ben detto, Simonone, hai colto perfettamente nel segno.

Saluti

Ub
"TARGA FLORIO ENTHUSIAST"
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Simone D B (simonone_sc)
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Messaggio numero: 1347
Registrato: 06-2002


Inviato il lunedì 24 gennaio 2005 - 15:14:   Modifica MessaggioCancella MessaggioStampa Messaggio   Sposta Messaggio (Moderatore/Amministratore soltanto)

Ecco la sentenza completa, per chi ne mastica.

Mi scuso per la prolissità (non mia)


SENTENZA N. 27

ANNO 2005





REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio ONIDA
Presidente

- Fernanda CONTRI
Giudice

- Guido NEPPI
"

- Piero Alberto
"

- Annibale
"

- Franco
"

- Giovanni Maria
"

- Francesco
"

- Ugo DE
"

- Romano
"

- Paolo
"

- Alfio
"

- Alfonso
"

- Franco
"

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 204-bis, comma 3, del
decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada),
disposizione introdotta dall'art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27
giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada),
convertito con modificazioni nella legge 1° agosto 2003, n. 214, e dell'art.
126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, aggiunto
dall'art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni
integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'
articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), modificato dall'art.
7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito
con modificazioni nella legge 1° agosto 2003, n. 214, promossi con ordinanze
dell'8 novembre 2003 dal Giudice di pace di Voltri, del 5 dicembre 2003 dal
Giudice di pace di Mestre, del 23 febbraio 2004 dal Giudice di pace di
Ficarolo, del 16 marzo 2004 dal Giudice di pace di Bra, del 17 febbraio 2004
dal Giudice di pace di Mestre, del 26 gennaio 2004 dal Giudice di pace di
Montefiascone, del 30 e del 26 aprile 2004 dal Giudice di pace di Lanciano,
del 12 maggio 2004 dal Giudice di pace di Carrara e del 10 maggio 2004 (n. 2
ordinanze) dal Giudice di pace di Casale Monferrato, rispettivamente
iscritte ai nn. 120, 267, 465, 503, 569, 575, 643, 658, 701, 721 e 722 del
registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica nn. 11, 23, 25, 26, 32, 36 e 38, prima serie speciale, dell'anno
2004.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il Giudice relatore
Alfonso Quaranta.

Ritenuto in fatto
1.¾ Il Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120
del 2004), ha sollevato questione di legittimità costituzionale - per la
violazione degli articoli 3, 24, primo comma, e 113, secondo comma, della
Costituzione - dell'art. 204-bis, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile
1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), disposizione introdotta dall'art.
4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed
integrazioni al codice della strada), aggiunta dalla legge di conversione 1°
agosto 2003, n. 214.

Il medesimo giudice rimettente - ipotizzando esclusivamente il contrasto con
l'art. 3 della Costituzione - ha sollevato questione di legittimità
costituzionale anche dell'art. 126-bis, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 285
del 1992, introdotto dall'art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n.
9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a
norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo
risultante all'esito della modifica apportata dall'art. 7, comma 3, lettera
b), del già segnalato d.l. n. 151 del 2003, come modificato - a propria
volta - dalla summenzionata legge di conversione n. 214 del 2003.

Il suddetto articolo 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992 è
censurato dal rimettente genovese «nella parte in cui prevede che nel caso
di mancata identificazione del conducente la segnalazione della decurtazione
del punteggio attribuito alla patente di guida deve essere effettuata a
carico del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi entro
30 giorni i dati personali e della patente del conducente».

I Giudici di pace di Mestre (r.o. nn. 267 e 569 del 2004), Ficarolo (r.o. n.
465 del 2004), Bra (r.o. n. 503 del 2004), Montefiascone (r.o. n. 575 del
2004), Lanciano (r.o. nn. 643 e 658 del 2004), Carrara (r.o. n. 701 del
2004) e Casale Monferrato (r.o. nn. 721 e 722 del 2004), hanno, a loro
volta, sollevato questione di legittimità costituzionale - deducendo, nel
complesso, la violazione degli articoli 3, 24, 25 (l'indicazione di quest'
ultimo parametro apparendo, per vero, frutto di un laspsus calami) e 27
della Costituzione - sempre dell'art. 126-bis, comma 2 (ma, invero, la prima
ordinanza di rimessione pronunciata dal rimettente di Mestre parrebbe
investire l'intero articolo), del d.lgs. n. 285 del 1992.

1.1.¾ Riferisce il primo dei rimettenti (r.o. n. 120 del 2004) di essere
investito della decisione del ricorso proposto - a norma dell'art. 204-bis
del codice della strada - avverso un verbale di contestazione di infrazione
stradale, «con il quale è stata irrogata la sanzione amministrativa
pecuniaria di euro 137,55 e la sanzione amministrativa accessoria della
decurtazione di punti sei dal punteggio attribuito alla patente di guida di
veicoli a motore». Deduce, altresì, il Giudice di pace di Genova che il
ricorrente «non ha provveduto al versamento della somma pari alla metà del
massimo edittale della sanzione inflitta, come previsto dal comma 3 del
predetto art. 204-bis», evidenziando, inoltre, che l'interessato - nel suo
ricorso - ha sottolineato che «il veicolo al momento dell'infrazione era in
uso alla propria moglie».

Ciò premesso, il giudice a quo ipotizza - innanzitutto - il contrasto dell'
art. 204-bis, comma 3, del d.lgs. n. 285 del 1992, con gli artt. 3, 24,
primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione.

La norma di legge suddetta, infatti, violerebbe l'art. 3 della Carta
fondamentale sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento
realizzata tra quanti adiscono le vie giudiziali per l'annullamento del
verbale di contestazione dell'infrazione stradale, e coloro che - in
alternativa - decidano o di proporre, allo stesso scopo, ricorso
amministrativo all'autorità prefettizia, ovvero impugnino direttamente la
c.d. "ordinanza-ingiunzione", giacché «l'incombente procedurale di cui al
comma 3 dell'art. 204-bis non è imposto a chi ricorra al prefetto ai sensi
dell'art. 203» del d.lgs. n. 285 del 1992, ovvero a chi, ai sensi degli
artt. 204-bis e 205, ricorra al giudice di pace avverso l'ordinanza
ingiunzione del prefetto. Un secondo motivo d'incostituzionalità, prosegue
il rimettente, sarebbe, inoltre, ravvisabile in relazione all'art. 24, primo
comma, della Costituzione, giacché l'imposizione dell'onere procedurale
previsto dalla norma impugnata limiterebbe ingiustificatamente «la
possibilità di agire in giudizio per la tutela dei diritti», non essendo
difatti «dettata da ragioni di giustizia o di carattere processuale».
Infine, conclude sul punto il rimettente, un ulteriore autonomo profilo d'
incostituzionalità dovrebbe riscontrarsi riguardo all'art. 113, secondo
comma, della Costituzione, atteso che esso «prevede che la tutela
giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione non può
essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione».

Inoltre, il Giudice di pace di Genova solleva questione di legittimità
costituzionale anche dell'art. 126-bis, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 285
del 1992.

Siffatta disposizione, «nella parte in cui prevede che nel caso di mancata
identificazione del conducente, la segnalazione della decurtazione del
punteggio attribuito alla patente di guida deve essere effettuata a carico
del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi, entro 30
giorni, i dati personali e della patente del conducente», sarebbe in
contrasto con l'art. 3 della Costituzione, configurando «un caso di
responsabilità oggettiva a carico del proprietario del veicolo», giacché
questi risponderebbe «per fatto altrui». Orbene, prosegue il giudice a quo,
mentre il ricorso a tale modello di responsabilità «può apparire corretto»
nelle ipotesi previste dagli articoli 196 del codice della strada e 2054 del
codice civile (poiché in tali casi la responsabilità solidale del
proprietario del veicolo, «per l'aspetto puramente riparatorio», risponde
alla duplice necessità di evitare che «molte norme sulla circolazione
stradale» restino eluse, e che i danneggiati in sinistri stradali possano
«non ottenere il giusto risarcimento»), è, per contro, irragionevole che il
proprietario del veicolo sia punito per un fatto che non ha commesso, o che
non ha neppure concorso a realizzare.

D'altra parte, osserva ulteriormente il rimettente, l'art. 3 della legge 24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), enuncia «il principio
della responsabilità personale in tema di sanzioni amministrative di natura
punitiva» (a tale categoria appartenendo la misura della decurtazione dei
punti dalla patente, dovendo essa considerarsi sanzione accessoria avente
carattere strettamente «punitivo personale»), di talché la disposizione
impugnata - nella misura in cui introdurrebbe una deroga a tale principio -
realizzerebbe «una disparità di trattamento tra i trasgressori di alcune
norme del codice della strada ed i trasgressori di altre norme
amministrative».

Infine, conclude il rimettente genovese, «poiché nel nostro ordinamento è
consentito ad una persona fisica di essere proprietario di veicoli a motore
pur non essendo titolare di patente di guida», l'art. 126-bis, comma 2, del
d.lgs. n. 285 del 1992 realizzerebbe «una disparità di trattamento tra
soggetti proprietari del veicolo oggetto dell'infrazione muniti della
patente di guida e quelli che ne sono privi, risultando di fatto punibili
con la decurtazione del punteggio solo i primi».

1.2.¾ Il Giudice di pace di Mestre, con due distinte ordinanze (r.o. nn. 267
e 569 del 2004), ha sollevato - ipotizzando il contrasto, nella prima
ordinanza, con il solo art. 3 della Costituzione, e, nella seconda, anche
con gli artt. 24 e 27 della Carta fondamentale - questione di legittimità
costituzionale dell'art. 126-bis, comma 2 (ma, come già rilevato, la prima
ordinanza di rimessione parrebbe censurare l'intero articolo), del d.lgs. n.
285 del 1992.

1.2.1.¾ In particolare, nella prima delle due ordinanze (r.o. n. 267 del
2004), il giudice a quo censura la disposizione suddetta «nella parte in cui
non prevede l'inapplicabilità della sanzione accessoria della detrazione dei
punti sulla patente di guida in difetto della normativa di attuazione dei
previsti corsi di recupero».

Il rimettente descrive, preliminarmente, l'oggetto del giudizio a quo,
consistente nella decisione di un ricorso (proposto avverso verbale di
contestazione di infrazione risalente al 3 luglio 2003) nel quale si «deduce
l'illegittimità della norma che introduce la sanzione accessoria della
detrazione dei punti» dalla patente di guida, atteso che «la nuova
disciplina sarebbe incompleta non essendo stata introdotta la puntuale
disciplina dei c.d. corsi di recupero, che dovrebbero, secondo il disegno
del legislatore, consentire al conducente sanzionato il recupero dei punti
detratti».

Ciò premesso, il Giudice di pace di Mestre (sempre nella prima - r.o. n. 267
del 2004 - delle due ordinanze da esso pronunciate) deduce come «la
disciplina applicabile al momento della contestata infrazione» risulti
quella prevista dal d.l. n. 151 del 2003, che avrebbe fissato quale data di
entrata in vigore del d.lgs. n. 9 del 2002 (cioè il testo normativo recante
la disciplina relativa alla "patente a punti") quella del 1° luglio 2003.
Poiché, però, soltanto con decreto ministeriale del 29 luglio 2003
(Programmi dei corsi per il recupero dei punti della patente di guida),
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 6 agosto 2003, sono state «introdotte
le norme di dettaglio sull'organizzazione dei corsi di recupero previsti
dall'art. 126-bis» del codice della strada, emergerebbe secondo il
rimettente «dalla descritta successione di norme (.) l'impossibilità
giuridica, per un trasgressore sanzionato nel periodo dal 1° luglio al 6
agosto 2003» (tale essendo l'evenienza ricorrente nel caso oggetto del
giudizio a quo) di «accedere al meccanismo di recupero dei punti persi».

In forza di tali rilievi, il Giudice di pace di Mestre pone in luce come, «a
fronte dell'imposizione di una sanzione, per la quale sono previsti rimedi
di natura riabilitativa», risulti «in concreto negato al soggetto sanzionato
l'accesso incondizionato ai benefici previsti, con evidente ed
ingiustificata disparità di trattamento dipendente esclusivamente dal
momento in cui la sanzione viene applicata», ciò che renderebbe la
disciplina suddetta non conforme a Costituzione.

Su tali presupposti, quindi, il rimettente - non senza osservare, in punto
di rilevanza della questione sollevata, come la stessa «all'evidenza»
risulti «pregiudiziale rispetto alla decisione della causa» devoluta al suo
esame - ha concluso per la declaratoria d'incostituzionalità della norma
impugnata.

1.2.2.¾ Con la seconda delle citate ordinanze (r.o. n. 569 del 2004), il
Giudice di pace di Mestre censura sotto altro profilo - per violazione degli
articoli 3, 24 e 27 della Costituzione - l'art. 126-bis del codice della
strada.

Il rimettente - premesso di giudicare del ricorso proposto avverso il
verbale con cui la polizia municipale di Venezia contestava al proprietario
di un veicolo, «benché non conducente», l'avvenuta violazione dell'art. 142,
comma 9, del codice della strada - deduce che il suddetto art. 126-bis
violerebbe «gli artt. 3 e 27 della Costituzione in quanto prevede una
sanzione amministrativa personale in virtù di una responsabilità oggettiva»
(e segnatamente nella parte in cui stabilisce che la decurtazione del
punteggio dalla patente venga effettuata a carico del proprietario del
veicolo, in caso di perdurante mancata identificazione del conducente
responsabile dell'infrazione), nonché «gli artt. 24 e 27 della
Costituzione», nella parte in cui dispone (al comma 2) che, qualora il
proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del
conducente del veicolo, si applichi «a suo carico la sanzione prevista dall'
art. 180, comma 8» del medesimo codice della strada.

Con riferimento, in particolare, alla prima censura (quella che ipotizza la
violazione degli artt. 3 e 27 Cost.), il giudice a quo assume che la
previsione della decurtazione dei punti dalla patente, a carico del
proprietario del veicolo, «appare in contrasto con l'insieme del sistema
sanzionatorio» previsto per le contravvenzioni stradali (sistema, a suo
dire, «costituito da norme che applicano i principî costituzionali»), e ciò
«in quanto la solidarietà passiva del conducente e del proprietario è
prevista solo per le sanzioni pecuniarie» (giusto il disposto dell'articolo
196 del codice della strada), risultando «non (.) trasmissibili le sanzioni
non pecuniarie (.) ad altro soggetto diverso da quello che ha commesso la
violazione» (in virtù di quanto stabilito dall'art. 210 del medesimo
codice).

Quanto, invece, alla seconda censura, e cioè il prospettato contrasto con
gli artt. 24 e 27 della Carta fondamentale, la stessa si fonda sulla
constatazione che l'impugnato art. 126-bis - là dove fa carico al
proprietario del veicolo di comunicare i dati personali e della patente del
conducente autore dell'infrazione - costringe il proprietario del veicolo
che non conosce il conducente (come nel caso di specie, «dove il
proprietario è legale rappresentante di due società, e il ciclomotore è
utilizzato dai dipendenti e dai parenti») «ad una omissione», che ha come
effetto «il pagamento di una pena pecuniaria e l'irrogazione della pena
accessoria della decurtazione dei punti della patente», quest'ultima essendo
destinata, inoltre, a "modificarsi" - secondo il rimettente - «a seconda
delle condizioni e status del proprietario», il quale soltanto «se titolare
di patente viene colpito»

Orbene, tale regime sanzionatorio - essendo previsto per un'omissione che,
il più delle volte (anche in ragione del notevole lasso di tempo che
usualmente trascorre tra l'accertamento dell'infrazione a carico del
conducente e la richiesta dei suoi dati personali, e della patente di guida,
rivolta al proprietario del veicolo), si risolve in una «incolpevole
dimenticanza del fatto» - appare al rimettente in contrasto con l'art. 27
della Costituzione. «Mutuando dal diritto penale», egli osserva, «è
necessario che l'atto positivo o negativo sia posto in essere con coscienza
e volontà», ciò che non può certamente dirsi per una semplice "dimenticanza"
.

Deduce, infine, il giudice a quo che nella eventualità in cui il
proprietario - il quale pure non sia stato il conducente del veicolo -
corrispondesse «la sanzione pecuniaria in misura ridotta, non potrebbe
proporre ricorso in quanto gli viene impedito dallo stesso art. 126-bis»;
ciò che induce il rimettente ad eccepire «la violazione del diritto di
difesa (art. 24 Cost.)».

1.3.¾ Il Giudice di pace di Ficarolo (r.o. n. 465 del 2004) ha sollevato,
del pari, questione di legittimità costituzionale - per contrasto con gli
artt. 3 e 24 Cost. - dell'art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992,
«nella parte in cui dispone la decurtazione del punteggio della patente di
guida nei confronti del proprietario del veicolo nei cui riguardi è stato
accertato il superamento dei limiti di velocità, qualora non risulti
identificato colui che si trovava alla guida del veicolo al momento in cui
fu commessa l'infrazione contestata».

Il rimettente - ricostruita la fattispecie concreta sottoposta al suo
esame - ipotizza, innanzitutto, da parte della disposizione impugnata, la
«violazione del principio "nemo tenetur se detegere" che discende, quale
corollario, da quanto stabilito dall'art. 24 della legge fondamentale». Il
comma 2 del citato art. 126-bis, nel richiedere, infatti, al proprietario
del veicolo di comunicare i dati personali e della patente del conducente
(non identificato al momento dell'accertamento dell'illecito
amministrativo), «non distingue (.) tra i possibili destinatari della
delazione che viene imposta», di talché, ove la persona del conducente e del
proprietario coincidessero, quest'ultimo «sarebbe obbligato a confessare la
propria colpa».

«Ne deriva», prosegue il giudice a quo, «il contrasto dell'art. 126-bis» con
il principio sopra richiamato (nemo tenetur se detegere), «e quindi con l'
art. 24» della Costituzione.

In relazione, invece, all'ipotizzata violazione dell'art. 3 della
Costituzione, il rimettente sottolinea che la sanzione della decurtazione
dei punti dalla patente «viene applicata in modo diverso» nei confronti
delle persone giuridiche rispetto alle persone fisiche, posto che nel primo
caso «si applica la sanzione pecuniaria di cui all'articolo 180» del codice
della strada, «mentre nel secondo la decurtazione dei punti della patente di
guida», dando così luogo ad una «ingiustificata disparità di trattamento»
tra le due ipotesi.

1.4.¾ Dubita, altresì, della legittimità costituzionale della medesima
disposizione - giacché in contrasto con gli articoli 24 e 27 della
Costituzione - anche il Giudice di pace di Bra (r.o. n. 503 del 2004).

La previsione - da parte dell'art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 - di
una «sanzione accessoria personale» a carico del proprietario del veicolo,
che ometta di comunicare chi effettivamente fosse alla guida del veicolo in
occasione della violazione di norme del codice della strada, sarebbe -
secondo il rimettente - in «evidente contrasto con il principio della
responsabilità personale dettato dall'art. 27, primo comma, della
Costituzione», giacché, «pur essendo tale norma riferita alla responsabilità
penale, essa è uniformemente interpretata come estensibile a tutte le
sanzioni che colpiscono la persona».

Evidenzia, inoltre, il giudice a quo come il suddetto art. 126-bis del
codice della strada preveda anche, per l'omessa comunicazione di cui sopra,
«il pagamento di una sanzione amministrativa ai sensi dell'art. 180, comma
8, del medesimo codice». Dall'applicazione di tale previsione deriverebbe
per il proprietario del veicolo - allorché questi non sia in grado di
comunicare i dati relativi alla persona ed alla patente del conducente (come
avviene, sottolinea il rimettente, «in quasi tutte le famiglie, in caso di
uso promiscuo del mezzo») - una situazione «paradossale», giacché egli
sarebbe, di fatto, costretto ad «autodenunciarsi», per evitare almeno il
pagamento della sanzione pecuniaria suddetta. Si verrebbe, in tal modo, a
realizzare una lesione del «suo diritto di difesa - rectius: autodifesa -
sancito dall'art. 24 Cost.», in «spregio al principio del nemo tenetur se
detegere».

Infine, secondo il Giudice di pace di Bra, essendo di soli 30 giorni il
termine per effettuare la comunicazione contemplata dalla norma sospettata
di costituzionalità, e dunque «nettamente inferiore al termine di 60 giorni
per proporre ricorso al Giudice di pace o al Prefetto» (ai sensi degli
articoli 203 e 204-bis del d.lgs. n. 285 del 1992), da ciò «consegue il
paradosso per cui potrebbe venire irrogata una sanzione accessoria in
mancanza di un giudicato sulla sanzione principale, in palese contrasto con
il principio, logico prima ancora che giuridico, secondo cui la sanzione
accessoria non ha ragione di esistere quando manchi ab origine o venga
successivamente meno quella principale».

Su tali basi - e non senza porre in luce, conclusivamente, come, obbligando
il proprietario del veicolo a comunicare il nominativo del conducente
responsabile dell'accertata infrazione stradale, la norma de qua lascerebbe
«in capo al cittadino e non allo Stato la decisione su chi debba subire la
sanzione» - il rimettente ha concluso per l'accoglimento della questione di
costituzionalità sollevata.

1.5.¾ Il contrasto tra l'art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 e gli
articoli 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione è ipotizzato dal
Giudice di pace di Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004).

Riassume, in primo luogo, il rimettente i termini del giudizio a quo,
sottolineando di essere investito di un ricorso proposto avverso un verbale
di contestazione dell'infrazione stradale di cui all'art. 142, comma 8, del
codice della strada.

Nel precisare che il ricorrente - non essendo «in grado, dato il tempo
trascorso, di indicare la persona fisica al volante al momento dell'
accertamento dell'infrazione» - ha provveduto «al pagamento della sanzione
pecuniaria», eccependo però l'incostituzionalità «della sanzione
amministrativa della decurtazione» del punteggio dalla patente, il Giudice
di pace di Montefiascone ha sollevato - in relazione ai parametri
summenzionati - questione di legittimità costituzionale del suddetto art.
126-bis «nella parte in cui pone a carico del proprietario del veicolo la
decurtazione dei punti della patente connessa a violazioni commesse da
terzi».

Ad avviso del rimettente, difatti, «il sistema sanzionatorio testé indicato
crea un'ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni
sostanzialmente identiche», giacché esso può «applicarsi soltanto ai
proprietari muniti di patente di guida», mandando invece «esenti da sanzione
coloro che ne sono sprovvisti», così incentivando - oltretutto - la
«diseducativa tendenza a intestare le vetture ai non patentati».

Accanto all'ipotizzata violazione dell'art. 3 Cost., il rimettente - non
senza evidenziare come la prassi, originata dall'applicazione della norma
impugnata, di denunciare un prossimo congiunto quale conducente responsabile
dell'infrazione darebbe luogo ad una situazione di «contrasto con la tutela
dei vincoli familiari costituzionalmente protetti» - prospetta, quale
ulteriore censura, la violazione dell'art. 27 della Carta fondamentale. Tale
articolo, difatti, «enuncia il principio della personalità della pena»,
valevole anche per una «sanzione afflittiva che limita la libertà personale
e l'autonomia di locomozione» (qual è la decurtazione dei punti dalla
patente), non a caso «intrasmissibile ad altri soggetti come previsto dall'
art. 210» del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992.

1.6.¾ Con due distinte ordinanze (r.o. nn. 643 e 658 del 2004), il Giudice
di pace di Lanciano ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell'art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992.

1.6.1.¾ Nel primo caso (r.o. n. 643 del 2004), è ipotizzata la violazione
degli artt. 3 e 24 della Costituzione ad opera della suddetta disposizione
di legge, «nella parte in cui prevede che la decurtazione dei punti avviene
al proprietario del veicolo quando il conducente rimane sconosciuto», nonché
là dove stabilisce che «se proprietario è una persona giuridica questa può
liberarsi pagando solo una somma di denaro».

Il rimettente - nel premettere che la risoluzione della questione di
legittimità costituzionale è rilevante ai fini della definizione del
giudizio di cui esso è investito, giacché, «dati tutti gli elementi della
fattispecie concreta», la norma impugnata è tra quelle «di cui non è da
escludere l'applicazione per la risoluzione della causa», poiché nel caso di
specie «non è stata identificata la conducente dell'auto de qua» - deduce la
violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione.

A suo dire, infatti, per effetto della previsione contenuta nell'impugnata
disposizione, «non tutti i cittadini avrebbero pari dignità sociale e
sarebbero eguali davanti alla legge», né tutti «potrebbero agire per la
tutela dei propri diritti ed interessi legittimi». La norma de qua -
prosegue il rimettente - «introduce una singolare sanzione a carattere
intermittente o eventuale a secondo di chi sia il proprietario del mezzo»
(essendo essa «applicabile solo nel caso in cui il titolare del mezzo sia
patentato»), dando, inoltre, luogo, «all'interno dei destinatari patentati»,
ad un (ulteriore) «discrimine non ragionevole» a carico di chi «non vuole
indicare chi tra i familiari ha preso l'auto oppure non sa, non conosce chi
ha utilizzato l'auto».

Ipotizza, infine, il giudice a quo un'ulteriore violazione degli stessi
parametri costituzionali (artt. 3 e 24 Cost.), sotto altro profilo.

Qualora, difatti, il proprietario del veicolo risulti una persona giuridica,
a carico del suo legale rappresentante che ometta di comunicare i dati
personali e della patente del conducente si applicherebbe esclusivamente la
sanzione amministrativa prevista dall'art. 180 comma 8 del codice della
strada (e cioè una sanzione solo pecuniaria), con «evidente (.)
discriminazione tra il proprietario di un'autovettura che sia persona
giuridica e chi non lo è, in quanto il legale rappresentante ha la
possibilità di effettuare il pagamento in denaro senza alcuna decurtazione
di punteggio», evenienza non prevista, invece, nell'altra ipotesi.

In forza di tali rilevi - nonché conclusivamente osservando come «la
possibilità di irrogare sanzioni senza la contestazione immediata, anche se
prevista dalla legge» (ed alla base della possibilità di punire il
proprietario del veicolo in luogo del conducente rimasto sconosciuto),
costituirebbe «di per sé una compromissione del diritto di difesa, in
contrasto con quanto statuito dall'art. 24, secondo comma, della
Costituzione» - il rimettente ha chiesto la declaratoria d'
incostituzionalità della disposizione impugnata.

1.6.2.¾ Con la seconda ordinanza (r.o. n. 658 del 2004), lo stesso Giudice
di pace di Lanciano deduce il contrasto con gli artt. 24 e 27 della
Costituzione dell'art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992.

Il giudice a quo deduce, in primo luogo, l'esistenza di un contrasto tra la
disposizione impugnata e l'art. 24 Cost., giacché quest'ultimo - «in
ossequio all'antico brocardo nemo tenetur se detegere» - sancisce «il
diritto a non fornire elementi in proprio danno e, più in generale, a non
collaborare con l'Autorità per la propria incriminazione», diritto,
viceversa, pregiudicato dalla norma suddetta.

Quanto, invece, alla prospettata violazione dell'art. 27 Cost., il
rimettente osserva che con «l'introduzione della perdita dei punti sulla
patente» l'illecito amministrativo, consistente nell'inosservanza delle
regole sulla circolazione stradale, avrebbe acquistato «la configurazione di
un vero e proprio reato con sanzione anche di carattere afflittivo oltre che
pecuniaria», di talché, a causa dell'applicazione della sanzione de qua, «il
reato-contravvenzione verrebbe addebitato per responsabilità oggettiva
violando l'art. 27 della nostra Costituzione».

Rileva, inoltre, il Giudice di pace di Lanciano come la disposizione
impugnata si presenti in contrasto con la configurazione che alla
responsabilità amministrativa è stata conferita dalla già ricordata legge n.
689 del 1981.

Se è vero, difatti, che il suo art. 6 (con disposizione che risulta, per
così dire, "doppiata" - nella materia delle infrazioni stradali - da quella
contenuta nell'art. 196 del d.lgs. n. 285 del 1992) ha «introdotto l'
istituto della solidarietà, di derivazione civilistica, prevedendo la
responsabilità in solido, con l'autore dell'illecito, del proprietario della
cosa che servì a commettere la violazione», deve, però, riconoscersi che
siffatta "solidarietà" «comporta il pagamento della somma pecuniaria
scaturita dalla violazione amministrativa, e non invece l'assoggettamento ad
altra sanzione di carattere affittivo, ma non pecuniario, come quella della
detrazione dei punti della patente prevista dall'art. 126-bis».

1.7.¾ Deduce, altresì, il contrasto con gli articoli 3, 24 e 25 della
Costituzione dell'art. 126-bis del codice della strada, anche il Giudice di
pace di Carrara (r.o. n. 701 del 2004).

Ricostruisce, in primis, il rimettente i termini del giudizio a quo,
sottolineando di essere stato adito per l'annullamento di un verbale di
accertamento «riferito alla violazione relativa all'uso di telefono
cellulare durante la guida», verbale «notificato alla ricorrente in quanto
proprietaria del veicolo e "responsabile in solido" della violazione».
Deduce, inoltre, che l'interessata - nel proprio ricorso - assumeva «che non
era lei opponente alla guida», essendo, in ogni caso, «impossibile per gli
accertatori rilevare la circostanza contestata» (e cioè l'uso dell'
apparecchio telefonico, atteso che la vettura di sua proprietà «sarebbe
dotata di vetri oscurati»), e che comunque l'automobile «non era stata usata
dalla ricorrente nelle circostanze di tempo e di luogo contestate», né
«prestata ad alcuno».

Chiesto, su tali basi, l'accoglimento dell'opposizione, la ricorrente
«eccepiva anche questione di legittimità costituzionale dell'art. 126-bis»
del codice della strada, questione che l'adito giudicante ha reputato
rilevante, giacché solamente ove tale norma «fosse conforme a Costituzione
si dovrebbe applicare, all'esito sfavorevole per l'opponente del giudizio,
anche la sanzione accessoria della perdita di cinque punti della patente di
guida all'opponente».

In ordine, poi, alla non manifesta infondatezza della questione, il
rimettente premette la necessità di chiarire la «natura giuridica della
decurtazione dei punti della patente», contestando la ricostruzione proposta
dal Ministero dell'Interno attraverso apposite circolari, essendo tale
istituto «contraddittoriamente definito, da un lato, come misura avente
"carattere cautelare" e dall'altro misura che "integra il sistema delle
sanzioni pecuniarie accessorie" previste dal Codice della Strada». La
constatazione che si è in presenza di un «istituto di natura afflittiva e
permanente (la decurtazione non ha effetti temporanei e provvisori)», porta
il giudice a quo a ritenere la misura in esame «una sanzione amministrativa
personale».

«Così ricostruita» - prosegue il rimettente - «la natura della misura in
rapporto alla propria funzione, ne risultano però evidenziati anche gli
aspetti di contrasto con le norme e i principî costituzionali del sistema
sanzionatorio del codice della strada», giacché, in particolare, l'articolo
196 del d.lgs. n. 285 del 1992 «prevede la solidarietà passiva - per
conducente e proprietario del veicolo - per le sole sanzioni pecuniarie»,
così come il successivo art. 210 stabilisce «per diretta conseguenza (.) l'
intrasmissibilità delle sanzioni non pecuniarie ad altri soggetti, diversi
da chi abbia materialmente compiuto la violazione».

Orbene, assume il Giudice di pace di Carrara, siffatto «impianto normativo»
costituirebbe coerente applicazione dei principî costituzionali (e
segnatamente di quello secondo cui la «responsabilità penale è personale»),
che, seppur riferiti ai reati, sarebbero tuttavia «estesi a tutte le
violazioni per le quali siano previste sanzioni che colpiscono una persona»,
donde l'ipotizzata violazione - da parte della disposizione impugnata - dell
'art. 25 (recte: 27) della Costituzione. La previsione, difatti, della
«possibile irrogazione di sanzioni amministrative personali per una sorta di
"responsabilità oggettiva"», costituisce una scelta legislativa «che mal si
attaglia con i principi costituzionali di cui all'art. 25» (recte: 27) della
Costituzione, i quali risultano «pacificamente applicabili nell'impianto
normativo delle sanzioni amministrative», come disciplinato dalla legge n.
689 del 1981.

Deduce il rimettente, inoltre, la violazione anche dell'art. 3 della
Costituzione, giacché la disposizione impugnata realizzerebbe una «disparità
di trattamento», innanzitutto «nel caso in cui il proprietario della
vettura - obbligato solidalmente alla decurtazione - non sia in possesso
della patente di guida», ovvero quando, pur essendo «giuridicamente
proprietario», «di fatto non eserciti il possesso dell'auto» (tale sarebbe,
in particolare, la condizione delle «imprese di leasing», rispetto alle
quali oltretutto la sanzione colpirebbe «il legale rappresentante della
società, individuato con criteri del tutto soggettivi e casuali», quali
quelli connessi alla titolarità della carica).

Né, d'altra parte, il prospettato dubbio di costituzionalità, per violazione
dell'art. 3 della Carta fondamentale, potrebbe essere superato - conclude il
giudice a quo - ove si ritenga che la sanzione della decurtazione dei punti
dalla patente «colpisca il proprietario non in quanto tale, ma per l'
omissione delle informazioni» indicate nell'art. 126-bis, in quanto «tale
comportamento omissivo è già di per sé stesso punito dalla sanzione
amministrativa pecuniaria ai sensi dell'art. 180, comma 8» del medesimo
codice della strada.

Ipotizza, infine, il Giudice di Pace di Carrara anche la violazione degli
articoli 24 e 25 della Costituzione, in quanto, nell'ipotesi in cui «il
proprietario del veicolo sia lo stesso conducente, cui non sia stata
immediatamente contestata la violazione», questi «si vedrebbe costretto ad
autodenunciarsi, a pena di incorrere in doppio provvedimento punitivo», e
cioè «da un lato la decurtazione del punteggio e dall'altro la sanzione
pecuniaria per l'omissione dei dati dell'effettivo conducente».

Tale evenienza, però, non pare compatibile con la scelta compiuta dal nostro
ordinamento - «come ogni ordinamento liberale» - in favore del principio che
esclude (persino in materia penale) «che si possa essere costretti ad agire
contro sé stessi», atteso che sono «i soggetti che accertano l'illecito ad
essere tenuti ad individuare l'effettivo trasgressore».

1.8.¾ La violazione del solo articolo 24 della Costituzione - da parte del
già più volte ricordato art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 - è dedotta
anche dal Giudice di pace di Casale Monferrato, con due ordinanze (r.o. nn.
721 e 722 del 2004) di pressoché identico contenuto (le stesse, invero,
differiscono unicamente in ragione del fatto che, nel primo caso,
proprietaria dell'autovettura, a carico della quale è stata accertata l'
infrazione stradale, risulta essere una persona giuridica).

Deducendo che ambedue i giudizi, dei quali esso è investito, non potrebbero
essere definiti «indipendentemente dalla risoluzione della questione di
legittimità costituzionale della norma sopracitata», il rimettente assume
che l'obbligo da essa imposto a carico del proprietario del veicolo
(indicare le generalità del conducente al momento dell'avvenuta
contestazione, nel caso in cui l'identificazione del trasgressore non
avvenga immediatamente) risulta «sanzionato diversamente, a seconda che il
proprietario sia una persona fisica o giuridica».

In entrambi i casi, tuttavia, «il diritto di difesa garantito dall'art. 24
Cost. risulta compresso», e ciò sotto vari profili; in primo luogo perché
«la norma prevede una responsabilità oggettiva del proprietario del
veicolo», e cioè un «istituto estraneo al nostro diritto sanzionatorio, sia
penale, sia amministrativo». La norma stabilisce, inoltre, «l'obbligo di
denuncia (o delazione) del conducente del veicolo», obbligo ipotizzabile,
però, «solo in capo a determinati soggetti, che rivestono funzioni
pubbliche». Infine, allorché le persone del proprietario e del conducente,
autore dell'infrazione, coincidano, «la norma imporrebbe un vero e proprio
obbligo di confessare, limitando irrimediabilmente il diritto di difesa del
cittadino», essendo «il diritto al silenzio (.) ormai patrimonio acquisito
al nostro ordinamento».

2.¾ È intervenuto, nei soli giudizi originati dalle ordinanze di rimessione
pronunciate dai Giudici di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri, e
Mestre (r.o. nn. 120 e 267 del 2004), il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.

Nel primo caso la difesa erariale si limita a «riportarsi alle deduzioni
formulate nei precedenti atti di intervento in cause simili» (e segnatamente
quelle originate dalle ordinanze r.o. nn. 997 e 998 del 2003, peraltro già
definite da questa Corte con la sentenza n. 114 del 2004), assumendo l'
infondatezza della questione prospettata.

Nel secondo caso l'Avvocatura generale dello Stato eccepisce che la
questione sollevata sarebbe «inammissibile e comunque infondata».

Rileva la difesa erariale, quanto all'inammissibilità della questione, che
il giudice rimettente - censurando la disposizione impugnata nella parte in
cui precluderebbe l'accesso, ai corsi di recupero dei punti della patente,
ai soggetti sanzionati tra il 1° luglio 2003 (giorno a cui risale l'entrata
in vigore della norma relativa alla decurtazione del punteggio della
patente) ed il successivo 6 agosto (giorno, invece, della pubblicazione del
già ricordato decreto ministeriale recante la disciplina relativa ai corsi
suddetti) - avrebbe omesso di «precisare quale pregiudizio in concreto abbia
subito il ricorrente dal presunto ritardo nella istituzione dei corsi di
recupero», e quindi «come la questione di costituzionalità prospettata d'
ufficio dal giudice a quo possa assumere rilevanza nel giudizio».

Nel merito, invece, l'Avvocatura generale dello Stato osserva che «né la
normativa primaria, né tanto meno il decreto ministeriale prevedono
meccanismi di preclusione temporale per l'iscrizione a tali corsi in
relazione alla data di decurtazione del punteggio». L'art. 6 del suddetto
decreto si limita, difatti, a prevedere l'impossibilità d'iscrizione ad uno
dei corsi «se prima non si sia ricevuta la comunicazione da parte del
Ministero competente della decurtazione» operata, nulla stabilendo, invece,
«circa l'esistenza di un termine massimo entro il quale un cittadino
dovrebbe iscriversi al corso di recupero».

Considerato in diritto

1.- I giudici di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120
del 2004), Mestre (r.o. n. 569 del 2004), Ficarolo (r.o. n. 465 del 2004),
Bra (r.o. n. 503 del 2004), Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004), Lanciano
(r.o. nn. 643 e 658 del 2004), Carrara (r.o. n. 701 del 2004) e Casale
Monferrato (r.o. nn. 721 e 722 del 2004) hanno sollevato questione di
legittimità costituzionale - deducendo, nel complesso, la violazione degli
articoli 3, 24, 25 (l'indicazione di quest'ultimo parametro apparendo, per
vero, frutto di un laspsus calami) e 27 della Costituzione - dell'art.
126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo
codice della strada), introdotto dall'art. 7 del decreto legislativo 15
gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice
della strada, a norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001,
n. 85), nel testo risultante all'esito della modifica apportata dall'art. 7,
comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed
integrazioni al codice della strada), come modificato - a propria volta -
dalla legge di conversione 1° agosto 2003, n. 214.

La disposizione de qua è sospettata di incostituzionalità nella parte in cui
prevede che, nel caso di mancata identificazione del conducente,
«responsabile della violazione» delle norme del codice della strada per le
quali «è prevista la sanzione amministrativa accessoria della sospensione
della patente», la segnalazione della decurtazione del punteggio attribuito
alla patente di guida debba essere effettuata a carico del proprietario del
veicolo, «salvo che lo stesso non comunichi, entro trenta giorni dalla
richiesta, all'organo di polizia che procede, i dati personali e della
patente del conducente al momento della commessa violazione».

1.1.- Deducono taluni dei predetti rimettenti (e segnatamente il Giudice di
pace di Genova, sezione distaccata di Voltri, nonché quelli di Mestre,
Ficarolo, Montefiascone, Lanciano e Carrara) la violazione dell'art. 3 della
Costituzione, ravvisata sotto diversi profili. Innanzitutto, perché la
disposizione impugnata configurerebbe una "sanzione intermittente", operando
soltanto nei confronti dei proprietari di veicoli che risultino muniti di
patente (r.o. nn. 120, 575, 643 e 701 del 2004), ovvero esclusivamente nei
confronti delle persone fisiche e non anche di quelle giuridiche (r.o. nn.
465 e 643 del 2004); in secondo luogo, perché la stessa - in contrasto con
la previsione di cui all'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema penale), che fissa il principio della "personalità"
della responsabilità amministrativa - realizzerebbe un'ingiustificata
«disparità di trattamento tra i trasgressori di alcune norme del codice
della strada ed i trasgressori di altre norme amministrative» (r.o. n. 120
del 2004).

Il contrasto con il parametro di cui all'art. 3 Cost. è ipotizzato, inoltre,
anche in relazione al difetto di ragionevolezza che connoterebbe la
disposizione de qua (r.o. nn. 120 e 569 del 2004). Essa, difatti, opera un
intervento, consistente nella previsione di un'ipotesi di responsabilità
"per fatto altrui", che - se appare «corretto» nei casi contemplati dagli
articoli 196 del codice della strada e 2054 del codice civile (giacché qui
la responsabilità solidale del proprietario del veicolo, «per l'aspetto
puramente riparatorio», risponde alla duplice necessità di evitare che
«molte norme sulla circolazione stradale» restino «eluse» e che i
danneggiati in sinistri stradali possano «non ottenere il giusto
risarcimento»; così in particolare r.o. n. 120 del 2004) - risulta, invece,
irragionevole nel caso di specie, trattandosi di applicare una sanzione di
natura «personale» (così, nuovamente, r.o. n. 120 del 2004).

1.2.- L'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada, inoltre, sarebbe in
contrasto - secondo quanto ipotizzato dai rimettenti di Mestre, Ficarolo,
Bra, Lanciano, Carrara e Casale Monferrato - con l'art. 24 della
Costituzione, e ciò sotto un triplice alternativo profilo.

Da un lato si assume che «la possibilità di irrogare sanzioni senza la
contestazione immediata, anche se prevista dalla legge», costituirebbe «di
per sé una compromissione del diritto di difesa» (r.o. n. 643 del 2004).

Per altro verso, invece, si sottolinea che - qualora le persone del
proprietario del veicolo e del conducente, responsabile dell'infrazione,
coincidano - la necessità di evitare (almeno) l'irrogazione della sanzione
pecuniaria di cui all'art. 180, comma 8, del codice della strada (comminata
a carico del proprietario che non provveda a soddisfare la richiesta di
comunicare i "dati personali e della patente" del conducente), dovrebbe
indurre il destinatario della richiesta suddetta ad autodenunciarsi, con
conseguente violazione del principio del nemo tenetur se detegere (r.o. nn.
465, 503, 658, 701, 721 e 722 del 2004).

Infine, si deduce la violazione del diritto di difesa anche sotto un
ulteriore profilo (r.o. n. 503 del 2004), evidenziando come la previsione di
un termine di appena trenta giorni, entro il quale il proprietario del
veicolo deve comunicare i dati personali e della patente del conducente
responsabile dell'infrazione, risulti «nettamente inferiore al termine di
sessanta giorni per proporre ricorso al Giudice di pace o al Prefetto, al
fine di conseguire l'annullamento del verbale di contestazione dell'
infrazione stradale». Orbene, tale "sfasatura" temporale comporterebbe l'
eventualità che sia «irrogata una sanzione accessoria in mancanza di un
giudicato sulla sanzione principale, in palese contrasto con il principio,
logico prima ancora che giuridico, secondo cui la sanzione accessoria non ha
ragione di esistere quando manchi ab origine o venga successivamente meno
quella principale».

1.3.- Viene, infine, ipotizzata - dai soli giudici di pace di Bra, Mestre,
Montefiascone, Lanciano (ma esclusivamente nell'ordinanza r.o. n. 658 del
2004) e Carrara - la violazione anche dell'art. 27 della Costituzione.

Si assume, difatti, che il principio - sancito dal primo comma di tale
articolo - secondo cui la «responsabilità penale è personale» deve
intendersi riferito anche alla responsabilità amministrativa.

2.- Il Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120
del 2004), ha, inoltre, sollevato questione di legittimità costituzionale -
per contrasto con gli articoli 3, 24, primo comma, e 113, secondo comma,
della Costituzione - dell'art. 204-bis, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 285
del 1992, disposizione introdotta dall'art. 4, comma 1-septies, del già
citato d.l. n. 151 del 2003, aggiunta dalla legge di conversione n. 214 del
2003.

Il rimettente lamenta la irragionevole disparità di trattamento - realizzata
dalla disposizione di legge impugnata - tra quanti adiscono le vie
giudiziali per l'annullamento del verbale di contestazione dell'infrazione
stradale, e coloro che, in alternativa, decidano o di proporre, allo stesso
scopo, ricorso amministrativo all'autorità prefettizia, ovvero impugnino
direttamente la c.d. "ordinanza-ingiunzione", giacché «l'incombente
procedurale di cui al comma 3 dell'art. 204-bis» del codice della strada
(versamento di una "cauzione", prevista a pena d'inammissibilità dell'
iniziativa esperita) risulterebbe stabilito solamente nella prima delle tre
ipotesi. Si deduce, inoltre, che l'imposizione dell'onere procedurale de quo
limiterebbe ingiustificatamente «la possibilità di agire in giudizio per la
tutela dei diritti», non essendo difatti «dettata da ragioni di giustizia o
di carattere processuale», contravvenendo inoltre al precetto costituzionale
il quale «prevede che la tutela giurisdizionale contro gli atti della
pubblica amministrazione non può essere esclusa o limitata a particolari
mezzi di impugnazione».

3.- Infine, un'ulteriore questione di legittimità costituzionale dell'art.
126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 è sollevata dal Giudice di pace di Mestre
(nella prima ordinanza - r.o. n. 267 del 2004 - da esso pronunciata), sotto
un profilo del tutto diverso da quelli testé illustrati.

È dedotta l'irragionevole disparità di trattamento - e dunque il contrasto
con l'art. 3 Cost. - che la disposizione in esame realizzerebbe a carico di
taluni utenti della strada, esclusi ratione temporis dalla possibilità di
partecipazione ai corsi per il recupero del punteggio detratto dalla
patente, giacché sanzionati anteriormente all'avvento del decreto del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 29 luglio 2003 (Programmi dei
corsi per il recupero dei punti della patente di guida) con il quale sono
state «introdotte le norme di dettaglio sull'organizzazione dei corsi di
recupero previsti dall'art. 126-bis» del codice della strada. Secondo il
rimettente, difatti, i soggetti che abbiano subito la decurtazione di punti
dalla propria patente di guida in ragione di infrazioni commesse tra il 1°
luglio 2003 ed il successivo 6 agosto (cioè a dire in un arco temporale che,
nella prospettazione del giudice a quo, sarebbe compreso tra la data dell'
entrata in vigore della nuova normativa relativa alla "patente a punti" e
quella della pubblicazione del decreto ministeriale concernente i c.d.
"corsi di recupero") sarebbero impossibilitati ad accedere a tali corsi,
essendo divenute operative le norme di dettaglio sulla loro organizzazione
soltanto successivamente alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del
decreto ministeriale suddetto (e dunque il 6 agosto 2003).

4.- Ciò premesso in merito alle iniziative assunte dai diversi giudici a
quibus, deve preliminarmente disporsi - data la connessione oggettiva
esistente tra le varie ordinanze di rimessione - la riunione dei relativi
giudizi ai fini di una unica decisione.

Quanto, invece, al contenuto di quest'ultima, appare necessario definire, in
via preliminare, tra le questioni di legittimità costituzionale sollevate
dal Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120 del
2004), quella avente ad oggetto l'art. 204-bis, comma 3, del codice della
strada, nonché, di seguito, quella posta dal rimettente di Mestre nella
prima delle due ordinanze da esso pronunciate (r.o. n. 267 del 2004).

5.- La questione di legittimità costituzionale dell'art. 204-bis, comma 3,
del d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata dal rimettente genovese, è
manifestamente inammissibile.

La disposizione de qua è già stata dichiarata costituzionalmente illegittima
con sentenza di questa Corte n. 114 del 2004, la quale ha rilevato che l'
imposizione dell'onere economico da essa previsto finisce «con il
pregiudicare l'esercizio dei diritti che l'art. 24 della Costituzione
proclama inviolabili, considerato che il mancato versamento comporta un
effetto preclusivo dello svoglimento del giudizio, incidendo direttamente
sull'ammissibilità dell'azione esperita».

6.- La questione sollevata dal Giudice di pace di Mestre con l'ordinanza
r.o. n. 267 del 2004 è, invece, infondata.

Secondo il rimettente, dalla previsione contenuta nell'art. 126-bis del
codice della strada discenderebbe la «impossibilità giuridica, per un
trasgressore sanzionato nel periodo dal 1° luglio al 6 agosto 2003», di
accedere ai corsi di recupero della patente, essendo divenute operative le
norme di dettaglio sull'organizzazione dei corsi stessi solo successivamente
a tale periodo, di talché, «a fronte della imposizione di una sanzione, per
la quale sono previsti rimedi di natura riabilitativa», sarebbe «in concreto
negato al soggetto sanzionato l'accesso incondizionato ai benefici previsti,
con conseguente ingiustificata disparità di trattamento dipendente
esclusivamente dal momento in cui la sanzione viene applicata».

L'impugnato articolo 126-bis ha previsto e disciplinato il sistema della
c.d. patente a punti, stabilendo che all'atto del rilascio della patente
vengano attribuiti venti punti, annotati in una apposita anagrafe nazionale
(comma 1). Tale punteggio è destinato a subire decurtazioni a seguito della
comunicazione, alla suddetta anagrafe, della «violazione di una delle norme
per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della
sospensione della patente ovvero di una tra le norme di comportamento di cui
al titolo V» dello stesso codice della strada (meglio indicate in una
apposita tabella ad esso allegata). Il comma 4 del medesimo art. 126-bis
dispone che, fuori dai casi di perdita totale del punteggio e purché questo
non sia del tutto esaurito, è consentito ai trasgressori di recuperare un
certo numero di punti mediante la frequenza di corsi di aggiornamento,
organizzati dalle autoscuole ovvero da soggetti pubblici o privati a ciò
espressamente autorizzati. L'ultimo periodo del comma sopra indicato dispone
che «con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti sono
stabiliti i criteri per il rilascio dell'autorizzazione, i programmi e le
modalità di svolgimento dei corsi di aggiornamento».

L'art. 126-bis in esame è entrato in vigore a decorrere dal 30 giugno 2003
(secondo quanto previsto dall'art. 8 del già citato d.l. n. 151 del 2003);
da tale data è dunque divenuto operativo il sistema della patente a punti.
Il decreto ministeriale che ha disciplinato i corsi di recupero, per contro,
è stato adottato in data 29 luglio 2003 ed è stato pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale il successivo 6 agosto 2003.

L'infrazione al codice della strada, sottoposta al giudizio del giudice
rimettente, è stata commessa il 3 luglio 2003, dopo cioè l'entrata in vigore
della disposizione censurata e prima della pubblicazione del decreto.
Secondo il rimettente, la norma censurata sarebbe incostituzionale, in
quanto «la nuova disciplina sarebbe incompleta non essendo stata introdotta
la puntuale disciplina dei c.d. corsi di recupero, che dovrebbero, secondo
il disegno del legislatore, consentire al conducente sanzionato il recupero
dei punti detratti».

La censura prospettata non può essere accolta per due ragioni, ciascuna
delle quali ha carattere assorbente.

In primo luogo, anche per le infrazioni commesse tra il 30 giugno 2003 e la
data di entrata in vigore del già menzionato decreto ministeriale relativo
all'organizzazione dei corsi di recupero dei punti perduti (pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale del 6 agosto 2003) era ed è possibile l'accesso ai corsi
stessi. Da un lato, infatti, nessuna preclusione di carattere temporale per
l'iscrizione ai medesimi è prevista, né dall'articolo 126-bis del codice
della strada, né dal d.m. 29 luglio 2003, essendo - dall'altro - del tutto
logico che la partecipazione ai predetti corsi debba avvenire in epoca
successiva all'accertamento dell'infrazione ed alla applicazione delle due
sanzioni combinate, la prima di natura pecuniaria, e la seconda concernente
la decurtazione del punteggio. Nessun pregiudizio, dunque, può derivare al
soggetto che abbia commesso l'infrazione al codice della strada nel suddetto
arco di tempo, atteso che nessuna preclusione per la partecipazione ai corsi
di recupero è ipotizzabile per il contravventore.

In secondo luogo, l'eventuale ritardo imputabile all'autorità amministrativa
nel porre in essere gli atti di adempimento di una determinata normativa non
può tradursi in una ragione di illegittimità costituzionale della normativa
stessa.

7.- In relazione, invece, alla questione di legittimità del comma 2 del
medesimo art. 126-bis del codice della strada (sollevata da tutti gli altri
rimettenti, compreso il Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di
Voltri, nella seconda parte della sua ordinanza, prima esaminata sotto un
diverso profilo), occorre procedere ad uno scrutinio differenziato in
relazione ai diversi parametri evocati, presentandosi tale questione fondata
solo nei limiti di seguito precisati.

8.- È necessario, peraltro, premettere il quadro di fondo nel quale si
colloca la disposizione oggetto di censura, la cui legittimità
costituzionale è posta in dubbio dai rimettenti nella parte in cui essa
stabilisce che, nel caso di mancata identificazione del contravventore, la
decurtazione dei punti della patente «deve essere effettuata a carico del
proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi, entro trenta
giorni dalla richiesta, all'organo di polizia che procede, i dati personali
e della patente del conducente al momento della commessa violazione».

L'originario comma 2 dell'art. 126-bis del codice della strada, introdotto
dall'art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni
integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell'
articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), disponeva che l'
organo accertatore della violazione comportante la perdita di punteggio
dovesse dare notizia, entro trenta giorni dalla definizione della
contestazione, all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida. In
particolare, il comma in questione prevedeva che la comunicazione dovesse
essere effettuata «solo se la persona del conducente, quale responsabile
della violazione», fosse stata «identificata inequivocabilmente». In base a
tale disposizione, quindi, nelle ipotesi in cui non fosse stata possibile la
identificazione del conducente, il proprietario rispondeva soltanto per il
pagamento della sanzione pecuniaria prevista per l'infrazione, stante il
vincolo di solidarietà passiva con il conducente, ma non subiva alcuna
conseguenza relativamente alla decurtazione del punteggio della sua patente.
La decurtazione presupponeva, pertanto, l'avvenuta identificazione, in ogni
caso, del conducente del veicolo.

Soltanto in virtù di quanto stabilito dall'art. 7, comma 3, lettera b), del
decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice
della strada), nel testo a sua volta modificato dalla relativa legge di
conversione 1° agosto 2003, n. 214, l'ultima parte del comma 2 dell'art.
126-bis è stata sostituita, prevedendosi che, nel caso di mancata
identificazione del conducente, la segnalazione all'anagrafe nazionale degli
abilitati alla guida debba «essere effettuata a carico del proprietario del
veicolo», aggiungendosi che il suddetto proprietario, per evitare tale
effetto pregiudizievole, è tenuto a comunicare, entro trenta giorni dalla
richiesta ricevutane, all'organo di polizia che procede, i dati personali e
della patente del conducente al momento della violazione commessa. È poi
previsto che «se il proprietario del veicolo risulta una persona giuridica,
il suo legale rappresentante o un suo delegato è tenuto a fornire gli stessi
dati, entro lo stesso termine, all'organo di polizia che procede». La norma
in esame, infine, aggiunge che «se il proprietario del veicolo omette di
fornirli, si applica a suo carico la sanzione prevista dall'art. 180, comma
8», vale a dire quella secondo la quale «chiunque senza giustificato motivo
non ottempera all'invito dell'autorità di presentarsi, entro il termine
stabilito nell'invito medesimo, ad uffici di polizia per fornire
informazioni o esibire documenti ai fini dell'accertamento delle violazioni
amministrative previste dal presente codice, è soggetto alla sanzione
amministrativa del pagamento di una somma da euro 343,35 a euro 1.376,55».

Dall'insieme delle citate disposizioni emerge, dunque, che nel caso in cui
proprietario del veicolo sia una persona fisica munita di patente e l'
infrazione sia punita, oltre che con la sanzione pecuniaria prevista da
altre norme del codice, specificamente indicate in una apposita tabella,
anche con quella della decurtazione del punteggio della patente, il
proprietario del mezzo, da un lato, risponde in solido con il conducente per
il pagamento della sanzione pecuniaria principale (art. 196 del codice della
strada), e, dall'altro, si vede detratti i punti della patente. Tale
ulteriore sanzione si applica, peraltro, quando non sia stato possibile
identificare il conducente e il proprietario medesimo, ricevutane apposita
richiesta, abbia omesso di indicare all'autorità le generalità ed i dati
della patente del conducente che era alla guida del veicolo; indicazione
che, invece, come si è detto, determina l'inapplicabilità al proprietario
della sanzione consistente nella decurtazione del punteggio.

Ora, appare evidente che l'applicazione di questa ulteriore sanzione
prescinde da qualsivoglia accertamento della responsabilità personale del
proprietario del veicolo in relazione alla violazione delle norme
concernenti la circolazione stradale.

9.- È alla luce di siffatta disciplina complessiva che deve essere
effettuato lo scrutinio di costituzionalità sollecitato dai rimettenti, i
quali ritengono che la sanzione de qua sia incompatibile con uno o più dei
parametri costituzionali evocati.

9.1.- Viene, innanzi tutto, in rilievo la censura con la quale è stata
dedotta la violazione dell'art. 24 della Costituzione.

Assumono taluni dei giudici rimettenti che «la possibilità di irrogare
sanzioni senza la contestazione immediata» costituirebbe «di per sé una
compromissione del diritto di difesa». Sotto altro aspetto, ancora con
riferimento al citato parametro costituzionale, viene dedotto che la
disposizione censurata pregiudicherebbe «il diritto a non fornire elementi
in proprio danno e, più in generale, a non collaborare con l'Autorità per la
propria incriminazione»; diritto che sarebbe sancito «in ossequio all'antico
brocardo nemo tenetur se detegere». Infine, si assume che il diritto alla
difesa risulterebbe pregiudicato, in ogni caso, dal fatto che la
disposizione in esame prevede un termine di appena trenta giorni, entro il
quale il proprietario del veicolo è tenuto a comunicare i dati personali e
della patente del conducente responsabile dell'infrazione; un termine,
pertanto, «nettamente inferiore» a quello di sessanta giorni per proporre
ricorso al giudice di pace o al prefetto, al fine di conseguire l'
annullamento del verbale di contestazione dell'infrazione stradale. L'
irrogazione della sanzione della decurtazione del punteggio dalla patente di
guida, sebbene risulti ancora pendente il termine per adire le vie
giudiziali o amministrative onde attingere la caducazione del verbale di
contestazione dell'infrazione, rappresenterebbe una menomazione del diritto
di difesa.

9.1.1.- Va chiarito, in proposito, che la mancata previsione della
contestazione "immediata" dell'infrazione punita con una misura
amministrativa non integra di per sé una violazione del diritto di difesa. E
a ciò va aggiunto che, in sostanza, la doglianza investe la possibilità -
prevista dall'art. 4, comma 4, del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121
(Disposizioni urgenti per garantire la sicurezza nella circolazione
stradale), convertito nella legge 1° agosto 2002, n. 168 - di non procedere
alla contestazione immediata dell'infrazione rilevata, di talché essa, più
che indirizzarsi contro la previsione dell'art. 126-bis, comma 2, del codice
della strada, avrebbe dovuto investire la disposizione che tale possibilità
contempla.

9.1.2.- Quanto alla paventata necessità per il proprietario del veicolo di
autodenunciarsi, il dubbio di costituzionalità sollevato dai rimettenti
appare fondarsi su di una inesatta esegesi del dato normativo. Si consideri,
difatti, che la disposizione impugnata espressamente stabilisce che la
comunicazione all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida dell'
avvenuta perdita del punteggio dalla patente (e cioè l'adempimento che ha
come presupposto, nel caso di mancata identificazione del conducente
responsabile della violazione, proprio l'avvenuta inutile richiesta al
proprietario del veicolo di fornire i dati personali e della patente del
predetto conducente) deve avvenire «entro trenta giorni dalla definizione
della contestazione effettuata», definizione che presuppone, a sua volta,
che «siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi o
giurisdizionali ammessi», ovvero - ed è proprio siffatta previsione ad
essere dirimente rispetto alla censura in esame - che «siano decorsi i
termini per la proposizione dei medesimi».

In nessun caso, quindi, il proprietario è tenuto a rivelare i dati personali
e della patente del conducente prima della definizione dei procedimenti
giurisdizionali o amministrativi per l'annullamento del verbale di
contestazione dell'infrazione.

9.2.- Fondate sono, invece, le censure di violazione dell'art. 3 della
Costituzione sotto il profilo della irragionevolezza della disposizione, nel
senso che essa dà vita ad una sanzione assolutamente sui generis, giacché la
stessa - pur essendo di natura personale - non appare riconducibile ad un
contegno direttamente posto in essere dal proprietario del veicolo e
consistente nella trasgressione di una specifica norma relativa alla
circolazione stradale.

9.2.1.- A tale conclusione conduce la ricostruzione del contenuto della
disposizione censurata alla luce della disciplina generale del sistema
sanzionatorio previsto per gli illeciti amministrativi, dalla legge 24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale).

L'art. 3 di tale legge fissa due principî fondamentali: quello secondo il
quale «nelle violazioni cui è applicabile una sanzione amministrativa
ciascuno è responsabile della propria azione od omissione, cosciente e
volontaria, sia essa dolosa o colposa» (primo comma); e quello secondo il
quale «nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l'
agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da sua colpa»
(secondo comma). Il citato articolo ancora la responsabilità per
comportamenti tipizzati dalla norma al carattere personale della condotta
commissiva od omissiva del contravventore.

Ciò premesso, dunque, sul carattere "generale" del principio della
personalità della responsabilità amministrativa, deve inoltre osservarsi
come l'art. 6 della stessa legge n. 689 del 1981 disciplini, a sua volta, ma
per le sole sanzioni pecuniarie, la solidarietà passiva tra «il proprietario
della cosa che servì o fu destinata a commettere la violazione o, in sua
vece, l'usufruttuario o, se trattasi di bene immobile, il titolare di un
diritto personale di godimento» e «l'autore della violazione».

Orbene, il codice della strada, all'art. 196, con riferimento quasi testuale
all'art. 6 della citata legge n. 689 del 1981 fa proprio il «principio di
solidarietà», disponendo, al comma 1, che «per le violazioni punibili con la
sanzione amministrativa pecuniaria il proprietario del veicolo» (o, in sua
vece, «l'usufruttuario, l'acquirente con patto di riservato dominio o l'
utilizzatore a titolo di locazione finanziaria») è «obbligato in solido con
l'autore della violazione al pagamento della somma da questi dovuta».

L'art. 126-bis, comma 2, invece, intervenendo in materia diversa dalla
responsabilità per il pagamento di somme e in una ipotesi di sanzione di
carattere schiettamente personale, pone a carico del proprietario del
veicolo, solo perché tale, una autonoma sanzione, appunto, personale,
prescindendo dalla violazione, al medesimo proprietario direttamente
ascrivibile, di regole disciplinanti la circolazione stradale.

9.2.2.- È pur vero che in più occasioni questa Corte (ordinanze nn. 323 e
319 del 2002 e n. 33 del 2001) ha affermato che la responsabilità del
proprietario di un veicolo, per le violazioni commesse da chi si trovi alla
guida, costituisce, nel sistema delle sanzioni amministrative previste per
la violazione delle norme relative alla circolazione stradale, un principio
di ordine generale, operante, in particolare, nel caso del fermo
amministrativo del veicolo, anche quando sia di proprietà di terzi (art.
214, comma 1-bis, del codice della strada). Nondimeno, deve rilevarsi che
nelle ipotesi prese in considerazione dalla citata giurisprudenza si versava
pur sempre in tema di sanzioni aventi il carattere della patrimonialità e
dunque suscettibili d'essere oggetto del regime della solidarietà passiva
coinvolgente il proprietario del veicolo. Ed infatti con l'irrogazione della
sanzione del fermo amministrativo del veicolo non si incide sulla "persona"
del proprietario, giacché la norma «si limita a sottrargli la disponibilità,
per un tempo limitato, di un bene patrimoniale» (ordinanza n. 282 del 2001),
determinando così una compressione soltanto di quelle facoltà di "godimento"
della res che ineriscono al diritto di proprietà.

Nella fattispecie ipotizzata dall'art. 126-bis, invece, assume preponderante
rilievo il carattere schiettamente personale della sanzione che viene
direttamente ad incidere sull'autorizzazione alla guida.

Si tratta, dunque, di una ipotesi di illecito amministrativo che, per più
aspetti, appare assimilabile a quella della sospensione della patente, la
cui «natura afflittiva (.) incide sul profilo della legittimazione
soggettiva alla conduzione di ogni veicolo, gravando sul relativo atto
amministrativo di abilitazione, a seguito dell'accertata trasgressione di
regole di comportamento afferenti alla sicurezza della circolazione»
(ordinanza n. 74 del 2000).

È, in effetti, proprio la peculiare natura della sanzione prevista dall'art.
126-bis, al pari della sospensione della patente incidente anch'essa sulla
«legittimazione soggettiva alla conduzione di ogni veicolo», che fa emergere
l'irragionevolezza della scelta legislativa di porre la stessa a carico del
proprietario del veicolo che non sia anche il responsabile dell'infrazione
stradale.

E ciò senza che venga in rilievo il pur denunciato contrasto tra la norma
censurata e il principio costituzionale fissato dall'art. 27 della
Costituzione; profilo che resta assorbito.

In conclusione, l'art. 126-bis, comma 2, del codice della strada, nella
parte in cui assoggetta il proprietario del veicolo alla decurtazione dei
punti della patente quando ometta di comunicare all'Autorità amministrativa
procedente le generalità del conducente che abbia commesso l'infrazione alle
regole della circolazione stradale, deve essere dichiarato
costituzionalmente illegittimo.

10.- L'accoglimento della questione di legittimità costituzionale, per
violazione del principio di ragionevolezza, rende, tuttavia, necessario
precisare che nel caso in cui il proprietario ometta di comunicare i dati
personali e della patente del conducente, trova applicazione la sanzione
pecuniaria di cui all'articolo 180, comma 8, del codice della strada.

In tal modo viene anche fugato il dubbio - che pure è stato avanzato da
taluni dei rimettenti - in ordine ad una ingiustificata disparità di
trattamento realizzata tra i proprietari di veicoli, discriminati a seconda
della loro natura di persone giuridiche o fisiche, ovvero, quanto a queste
ultime, in base alla circostanza meramente accidentale che le stesse siano
munite o meno di patente.

Resta, tuttavia, ferma - ovviamente - la possibilità per il legislatore,
nell'esercizio della sua discrezionalità, di conferire alla materia un nuovo
e diverso assetto.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 126-bis, comma 2, del
decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada),
introdotto dall'art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9
(Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a
norma dell'articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo
risultante all'esito della modifica apportata dall'art. 7, comma 3, lettera
b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al
codice della strada), convertito, con modificazioni, nella legge 1° agosto
2003, n. 214, nella parte in cui dispone che: «nel caso di mancata
identificazione di questi, la segnalazione deve essere effettuata a carico
del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi, entro
trenta giorni dalla richiesta, all'organo di polizia che procede, i dati
personali e della patente del conducente al momento della commessa
violazione», anziché «nel caso di mancata identificazione di questi, il
proprietario del veicolo, entro trenta giorni dalla richiesta, deve fornire,
all'organo di polizia che procede, i dati personali e della patente del
conducente al momento della commessa violazione»;

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell'art. 204-bis, comma 3, del predetto d.lgs. n. 285 del
1992, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 113,
secondo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Genova, sezione
distaccata di Voltri, con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del medesimo
art. 126-bis del predetto d.lgs. n. 285 del 1992, sollevata, in riferimento
all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice di pace di Mestre, con l'
ordinanza r.o. n. 267 del 2004.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 12 gennaio 2005.



Valerio ONIDA, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore



Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2005.
...se non ha le ruote, non ne vale la pena...
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Andrea Gervasi (juan_pablo_montoya)
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Oltretutto le multe arrivano spesso dopo mesi (a me ne sono arrivate due dopo 145 giorni... altri 5 giorni ed erano fuori tempo legale!!!) e non è che uno possa ricordarsi se ha prestato l'auto al figlio o alla moglie 4 mesi prima!
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Umberto (elfer)
Ciucciami gli scarichi !
Username: elfer

Messaggio numero: 1726
Registrato: 09-2002


Inviato il lunedì 24 gennaio 2005 - 21:45:   Modifica MessaggioCancella MessaggioStampa Messaggio   Sposta Messaggio (Moderatore/Amministratore soltanto)

Oddio Simò, é più lunga di "Guerra e pace"...


Ub
"TARGA FLORIO ENTHUSIAST"
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